Parlano di Ulisse

Lorenzo.

 

Un episodio della mia autobiografia di “soggetto in apprendimento”, in cui sono riuscito a capire bene e fino in fondo qualcosa di importante, a scuola, è certamente quello legato allo studio degli usi e costumi dei nativi americani effettuato in quinta elementare con il Maestro Ulisse. Si tratta di un episodio cui ho già fatto riferimento nella relazione “L’essere Mentore”, ma in virtù della sua straordinarietà e dell’impatto avuto su di me (ed i miei compagni) vale la pena di analizzarlo più approfonditamente. L’apprendimento che ne è risultato, infatti, è andato ben oltre al tema in oggetto e mi ha fornito gli strumenti per comprendere situazioni collocate in altri contesti storici, geografici ed anche politici. In altre parole, la valenza didattica di questa esperienza  va ricercata soprattutto nell’efficacia del metodo adottato e nella chiave di lettura che mi ha messo a disposizione per comprendere situazioni diverse, anche molto distanti nel tempo e nello spazio. Forse questo episodio non si presta perfettamente ad un’analisi dettagliata come quella suggerita dalla traccia, che sembra essere più idonea a scomporre e scandagliare episodi della vita scolastica maturati in una fase di apprendimento più avanzata, ma in tutta sincerità, anche in seguito ad un confronto con vecchi compagni di studi, non è emersa nessun altra situazione che per noi sia stata altrettanto significativa. Questo, probabilmente, anche perché i metodi di insegnamento adottati negli anni in cui ho frequentato medie e superiori  erano di natura assai tradizionale e possono essere riassunti nel trinomio Professore-gessetto-lavagna.
2.Provo ora a ricostruire le condizioni in cui quell’evento si è verificato.
a) La nostra scuola elementare si trovava in una zona che, nella Parma degli anni settanta, era ancora considerata periferia. Era circondata da spazi verdi e comprendeva un ampio cortile alberato. Questo ci consentiva, durante la bella stagione, di fare spesso lezione all’aperto. Ulisse poi, convinto assertore del metodo sperimentale, non si lasciava sfuggire occasione per evitare lezioni ti stampo classico.
b) Scopo profondo di quel progetto era comprendere non solo il “come”, il “dove” o il “quando”, ma anche il “perché” dello stile di vita dei nativi americani, le sue ragioni e le sue radici.
c)La prima fase del lavoro è consistita nel raccogliere informazioni. Noi bambini siamo stati invitati a cercare nelle nostre case, con l’aiuto dei genitori, ogni possibile fonte di informazione relativa agli indiani d’America: libri, articoli, anche alcuni fumetti. Per alcuni giorni Ulisse ha selezionato e catalogato il materiale prodotto e quindi, nel corso di qualche lezione frontale, ci ha introdotto l’argomento in questione.  Lo studio è stato suddiviso in diverse sezioni quali cerimonie e riti, tecniche di caccia, tecniche di combattimento, costumi religiosi. Sono stati formati gruppi di lavoro e ciascun gruppo ha scelto il tema di cui occuparsi. Ogni gruppo avrebbe poi dovuto presentare una relazione scritta ed esporla al resto della classe, che era invitata a fare domande. Per inciso, trovo questo metodo molto simile ad alcune delle tecniche adottate nell’ambito dei laboratori didattici all’interno di questo corso. La relazione dei diversi gruppi chiudeva la prima fase del progetto, quella che potremmo definire informativa. Successivamente, procuratici (finte) pelli, aghi, stecche e bastoni, spaghi e corde, derrate alimentari, dovevamo organizzarci come una tribù (la Tribù dei Piedi blu) e nutrirci, vestirci, comportarci, vivere insomma come indiani. Ogni decisione veniva presa a seguito di un’assemblea (come, del resto, eravamo già abituati a fare), l’aspirante stregone ebbe accesso a tale carica solo dopo aver risolto una complessa serie di indovinelli, gravi litigi venivano ricomposti discutendo seduti in circolo, mentre un calumet acceso (da noi costruito, ma non aspirato!) passava di mano in mano. In tutto questo Ulisse, “Baffo Tonante”, si limitava a vestire i panni dell’osservatore intervenendo solo di rado. Alle nostre eventuali richieste di aiuto o di chiarimenti rispondeva di rivolgerci a chi, all’interno della tribù, potesse vantare esperienza e conoscenze al riguardo, perché così all’interno di una tribù venivano affrontate le difficoltà. Per tutta questa fase il contributo di alcuni genitori volenterosi si è rivelato prezioso per evitare che il processo di apprendimento da giocoso si trasformasse in puro gioco. L’ultima fase del lavoro fu, per molti versi, la più triste. Si trattò di tornare sui libri per documentarsi sull’espansione ad Ovest dell’uomo bianco, sul massacro degli indiani, il loro confinamento nelle riserve, la loro definitiva decimazione ad opera di alcool e malattie. Studiando altre fasi della storia in anni successivi, ci saremmo resi conto che si trattava di un fenomeno tragicamente ricorrente (lo è anche al giorno d’oggi).

d) Ulisse, di proposito, non ci disse subito che avremmo dovuto mettere in pratica quanto stavamo apprendendo. Questo ci consentì di toccare con mano la differenza tra il “sapere” ed il “saper fare”. Da principio non credevamo che intendesse fare sul serio e per questo, di fronte alle prime difficoltà, ritenevamo che ci avrebbe dato una mano. Ho illustrato al punto precedente come, invece, si regolasse in questi casi. Fu in questo modo che arrivammo a capire, fra le altre cose,  l’importanza della solidarietà all’interno di un gruppo ed il significato del baratto. Tutta la tribù, ad esempio, partecipava alla complessa costruzione del teepee di ciascun “nucleo famigliare” e chi non era in grado di cucinare (i Buondì Motta non erano ammessi) poteva ottenere cibo barattandolo con capi d’abbigliamento o strumenti di caccia. Lo stregone aveva attrezzato la “casa della medicina” con cerotti, bende e disinfettanti (poco indiani, a dire il vero) per le inevitabili sbucciature a gomiti e ginocchia, ed anche tali articoli, somministrati con l’inestimabile valore aggiunto di formule propiziatorie, avevano un “prezzo”.
3.Quale morale posso ricavare sul mio modo di apprendere, modo che fu condiviso anche              da  tutta la classe?
a)  In senso stretto, si può dire che il lavoro svolto facesse parte del programma di storia, ma gli insegnamenti in esso contenuti sono certamente molteplici e sono rimasti impressi in me, in noi, in maniera indelebile ancora a trent’anni di distanza. Credo che questo sia stato reso possibile dall’affrontare la materia in modo vivo, personale e decisamente interattivo. Come ho avuto modo di illustrare nell’elaborato “L’essere Mentore”, questo si è verificato anche per lo studio di un’altra fase storica, quella della Resistenza.  Per me è sempre stato importante, all’interno di un processo di apprendimento, sperimentare una sorta di coinvolgimento personale, e l’immedesimazione implicita nello stile in cui è stato sviluppato il progetto ha reso tale coinvolgimento automatico ed immediato. Questo mi è accaduto molto di rado nello studio della storia in anni successivi.
b) Appare chiaramente, da questo esempio, la capacità del docente di coinvolgere l’allievo  e farlo sentire parte attiva nel processo di apprendimento. Un altro aspetto della sua tecnica di insegnamento che ho imparato a comprendere ed apprezzare solo col tempo consiste nella sua capacità di dosare i momenti in cui risolvere e quelli in cui suscitare problemi. Si tratta di un metodo che ho utilizzato molto nel tenere le mie lezioni nei corsi di attività subacquee e che ho sempre trovato utile per superare momenti di stanchezza o distrazione da parte dell’”auditorium”. Infine, essendo il contesto di apprendimento quello di una scuola elementare, mi sembra giusto sottolineare la componente ludica del lavoro. E’ noto che la capacità di attenzione in bambini di quell’età è molto limitata nel tempo ed in questo caso, a mio parere, la strategia vincente si è rivelata quella di rendere l’intero processo di apprendimento dinamico e divertente nel suo complesso, piuttosto che limitarsi esclusivamente ad alternare fasi di studio a fasi di gioco.
c) Ulisse non assegnava compiti da svolgere a casa. La fase di studio è dunque consistita, essenzialmente, nella ricerca del materiale e della documentazione necessaria per dare l’avvio al lavoro. Può sembrare poco, ma si è radicata in me l’abitudine, nell’affrontare nuovi argomenti di studio, a documentarmi anche al di là di quanto offerto dalla scuola (libro di testo, dispense…) attraverso la lettura di libri, l’intervista (chiacchierata) con persone competenti ed anche la visione di film o documentari.  Questo non solo nel tentativo di ricavare un quadro più completo ed esaustivo dell’argomento, ma anche per trasformarlo in qualcosa di maggiormente vivo e dinamico.
d) Ho già evidenziato, nel paragrafo introduttivo, come l’apprendimento generato dal tipo di approccio descritto si sia rivelato utile nello studio di situazioni storiche affini presentatesi in anni successivi. La storia dell’umanità, in senso lato, è costellata di tragedie dipanatesi secondo modalità non molto dissimili da quella che ha condotto alla distruzione dei nativi americani. L’America Latina, l’Australia, parte dell’Asia e dell’Africa sono state (e sono tuttora) teatro di simili sconvolgimenti. Avere provato, seppure per gioco, a vivere secondo i costumi di un popolo, ci ha consentito di apprezzare i valori di una cultura pur così diversa dalla nostra. E di comprendere, quindi, il rispetto per l’altro; la necessità di conoscere per poter capire, prima ancora di giudicare. Ancora oggi, quando mi imbatto, per una ragione o per l’altra, nella parola “bisonte”, automaticamente la associo all’aggettivo “sacro”, all’iconografia ad essa legata, alla storia di un popolo che, come tanti, non esiste più solo per avere avuto un diverso sistema di valori, che a nessuno era interessato comprendere.
4. In conclusione, le condizioni che a mio parere possono promuovere esperienze di apprendimento rilevanti ai fini della formazione, e che siano riproducibili nella organizzazione scolastica standard, sono:
a)  Non è semplice rendere dinamico e vivace lo studio di una disciplina come la storia. Credo però che diventi addirittura impossibile senza la conoscenza e la comprensione delle radici culturali che la generano, così come non è possibile comprendere realmente una poesia, un testo di prosa o un dipinto senza conoscere il contesto all’interno del quale ha preso forma. In questo senso anche la storia, soprattutto, forse, la storia, dovrebbe essere affrontata all’interno di un percorso interdisciplinare che consenta di coglierla nelle sue ragioni di fondo che non sono mai solo politiche, economiche o geografiche.
b)  Ho avuto modo più volte di sottolineare l’importanza del lavoro di gruppo. Nel mio percorso scolastico ho avuto l’opportunità di metterlo in pratica praticamente solo alla scuola elementare. Credo che questo sia dovuto essenzialmente al fatto che i professori che ho avuto in seguito temessero che, operando in questo modo, il lavoro sarebbe stato svolto interamente dai soggetti più “bravi”, a tutto vantaggio dei più “asini”. Questo significa che io ed i miei compagni siamo stati trattati come persone più mature alla scuola elementare che alle medie inferiori e superiori. Certo, Ulisse era per noi un punto di riferimento costante, anche al di fuori   dell’aula scolastica, ma sapeva essere severo ed esigente e infatti non rilevo contraddizioni in questo. Ritengo che lavorare anche in gruppo, essere responsabilizzati, godere di una certa autonomia nell’affrontare un compito possa contribuire sensibilmente alla crescita di un soggetto in apprendimento, ma perché questo accada non si può prescindere da un rapporto docente-studenti caratterizzato da stima e rispetto reciproci. Entrambi i soggetti in questione debbono però saperseli guadagnare.
c) Trovo difficile trovare un unico principio guida in questo senso. Credo sia necessaria una certa elasticità per comprendere, di volta in volta, l’approccio più idoneo in base all’argomento trattato, all’interesse suscitato (a priori, evidentemente), alla disponibilità di spazi adeguati ed ausili didattici.
d) Molti insegnanti mi hanno spiegato che spesso l’approccio dei loro studenti di fronte ad uno specifico argomento o addirittura ad un’intera disciplina è:”a cosa mi serve, perché dovrei impararlo?”. Quando ho seguito il corso per diventare Istruttore subacqueo mi hanno insegnato infatti a fornire agli studenti, di ogni argomento affrontato, il “valore”, cioè il perché sarebbe stato per loro importante apprenderlo, come e quando avrebbero potuto metterlo in pratica.  E’ probabile che in molti casi sia possibile fornire a tali domande una risposta sensata e motivante.  Meglio ancora sarebbe però che si riuscisse a spostare il punto di vista: “non sono sicuro che mi serva, ma vorrei saperne di più”.  Credo che sia in buona misura da questa capacità che si possano distinguere insegnanti brillanti da insegnanti “adeguati”. Le parole chiave sono ancora quelle con cui ho chiuso il precedente elaborato: creatività, passione, competenza.