Inventare il nuovo

“La storia può insegnarci ciò che non dobbiamo più fare; ma vivere è inventare ciò che dobbiamo fare noi di mai fatto: il nuovo”. 

Ulisse Adorni

Ulisse ricordato dall’amico e collega Giorgio Michelotti durante l’intitolazione della scuola primaria di via Paciaudi a Parma, il 27 otobre 2001:

“(…) Altrettanto importanti erano le relazioni con le famiglie alle quali Ulisse ha sempre chiesto un coinvolgimento pieno e attivo in tutti i momenti della classe:
– in quelli di progettualità: definire insieme gli obiettivi di fondo e costruire insieme esperienze significative che rappresentassero per i bambini motivo di crescita, di scoperta, di conquista di nuove abilità, di arricchimento delle proprie relazioni, di una crescita il più possibile armoniosa e serena;
– in quelli di verifica: non c’era mese che in genitori non si incontrassero per fare il punto;
– in quelli di confronto: soprattutto quando un bambino viveva difficoltà di apprendimento o di relazione”.

“Non è facile – ricordo che diceva spesso, magari dopo un’assemblea di classe particolarmente accesa sui temi, per esempio, della religione – ma è soprattutto attraverso il rapporto con le famiglie, un rapporto in cui dobbiamo avere il coraggio di metterci in discussione e di accettare il confronto, che la scuola può diventare un momento educativo”.

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“C’era un momento speciale nella vita della classe che dà l’idea dl valore che Ulisse attribuiva alle relazioni. Non c’era giorno in cui la classe (magari rientrando da un’ora di gioco particolarmente turbolenta, oppure quando Ulisse si accorgeva che un bambino stava vivendo un momento di emarginazione), trasformasse queste occasioni in gruppi di incontro, in cui i bambini si mettevano in cerchio e si faceva il punto di quanto successo”.

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“La parola magica era “situazione”. Voleva dire trasformare la conflittualità, le difficoltà di relazione, le difficoltà personali, in altrettanti momenti di confronto, di condivisione, di presa di coscienza di sé e soprattutto degli altri. Il problema di Luca diventava così il problema di tutti e tutti ne erano responsabili”.

Un’alternativa di scuola.

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“Ricordo che una delle espressioni che gli ho sentito ripetere spesso era “La scuola come liberazione”. Riflessione che partiva da alcuni presupposti: l’infanzia non è necessariamente la parentesi rosa nella vita di una persona. Anzi, può essere un periodo difficile. L’insegnante non può chiamarsi fuori e limitarsi a insegnare l’aritmetica o l’inglese. Al contrario è proprio l’insegnate che può farsi carico delle difficoltà piccole o grandi che un bambino di nove anni può trovarsi a vivere, offrendogli i tempi, gli spazi e le opportunità per esprimersi così com’è, senza paure. Un’ultima cosa: il gioco. In ogni stagione della vita ci sono bisogni diversi da soddisfare. Se non vengono soddisfatti al momento giusto possono lasciare dei vuoti e privare la persone di esperienze che la possono arricchire e permettere di esprimersi e realizzarsi pienamente. Nella vita di un bambino il bisogno fondamentale è quello di liberare la fantasia e la creatività, di vivere esperienze forti di socialità, oltre ai bisogni da cui dipendono le emozioni e i sentimenti. In questa visione il gioco aveva un ruolo di primissimo piano. Ma non il gioco dei videogame e nemmeno quello dell’aritmetica spacciata per gioco, no, il gioco vero, di gruppo, il gioco in cui si imparara a perdere e a vincere, quello di gruppo che oggi un bambino ha semre meno opportunità di sperimentare.”